Ho preso un’anatra che mi sono fatta porzionare dal macellaio e l’ho ben fiammeggiata sul fornelo per togliere l’attaccatura delle penne (accidenti se è dura). L’ho rosolata in olio e burro in un bel tegamone alto e largo, l’ho leggermente salata, sfumata col vino bianco, aromatizzata con chiodi di garofano e pepe rosa e coperta di brodo, dopo averla cosparsa di mele (4 per la precisione) Granny Smith affettate non troppo sottili. Ho portato ad ebollizione, quindi ho abbassato il fuoco al minimo e l’ho lasciata sobbollire per due ore e mezza, finché la carne non ha cominciato a staccarsi dalle ossa. Allora ho messo i pezzi dell’anatra in un piatto, tenendoli in caldo, mentre ho filtrato il sugo (scolandone la metà perché era di un grasso da far paura… dalle mie parti dicono che l’anatra è come l’aragosta: ha uno scarto mostruoso) con un colino.
Quindi, messo nuovamente sul fuoco, a fiamma media, l’ho ridotto con un cucchiaio di maizena – vanno benone anche la farina o la fecola – aggiungendo un goccio di aceto ed un cucchiaio di zucchero (un po’ come si fa con l’anatra all’arancia), ed una generosa quantità di curry (mea culpa, uso quello della Ducros… mi riprometto di farmelo da me, però, una volta di queste). Ho aggiunto tre cucchiai di panna liquida e ci ho poi frullato dentro una mela intera tagliata a pezzi, perché il sugo sapeva troppo… “poco” di mela, per i miei gusti. A quel punto era quasi perfetto. Quasi, perché ho voluto aggiungerci un’altra mela tagliata a fettine ed asciugata in un tegame un poco, senza però frullarla.
Ho servito l’anatra calda accompagnandola col suo sughetto… e con un semolino di miglio integrale, da agricoltra biologica (marca “Il frantoio”: io l’ho trovato in un negozio di articoli naturali e biologici a Varese, e la confezione, sottovuoto, reca anche un’email che vi scrivo, se vi interessasse contattare la casa produttrice: biofrant@tin.it). Per prepararlo ne ho buttati 250 g in un litro scarso di acqua non ancora in ebollizione, leggemente salata (un cucchiaino di sale fino), come per la polenta, e in dieci minuti, “ravanando” bene, era pronto.