E’ un piatto tipico della zona di Carloforte, i cui abitanti si piccano di mettere in rilievo la propria discendenza genovese, un po’ come certuni algheresi si ritengono più catalani che sardi.
Ne deduco che la tradizione di questo piatto sia condivisibile con la sorridente Liguria.
Ma facciamo finta che sia sardo, e bon.
Si fa col gattuccio. Col palombo. Con la razza.
Una signora che non mi ricordo come si chiama, mi ha detto che lei la fa con la spigola. Perchè non il merluzzo, a questo punto.
Insomma, accattatevi del pesce. Possibilmente grosso, carnoso, e con spine disciplinate e autogestite. Portatelo a casa. Pulitelo. Conservate il fegato, però. Personalmente, i miei studi di anatomia ittica non sono così evoluti da consentirmi di distinguere il fegato da qualsiasi altra espressione di interiorità. Quando deciderò di preparare il piatto, chiederò al pescivendolo di praticare la dissezione in mia vece.
A questo punto, sbollentatelo per pochi minuti in acqua salata. Alla fine lo taglierete a tocchi e lo delischerete cercando di non fare uno scempio come probabilmente farei io.
Nel frattempo, in un tegame preparate un soffritto di abbondante olio, aglio e prezzemolo. Aggiungete il fegato del gattuccio (o chi per lui) tritato finemente, e una bella manciatona di gherigli di noce (google suggerisce circa 4 hg per 1 kg di pesce, ma secondo me basta anche meno) precedentemente tritati o, se preferite, pestati.
Dopodiché, subentra l’aceto in dosi abbondanti. E il sale .
Ciò che state preparando è infatti la salsa in cui i tocchi di pesce si troveranno a marinare allegramente per una giornata buona prima di finire, squisiti, tra le vostre fauci.
Sempre google, mi fornisce delle ricette che differiscono da questa (la cui fonte è la mamma) in alcuni secondo me non trascurabili dettagli.
Il fegato, ad esempio.
In alcune ricette non c’è. In compenso si trova del pangrattato nella salsa.
Per me è meglio la qui presente versione, ma fate un po’ voi.